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Nel fare gli onori di casa a Oculus Connect, l’evento annuale del celebre colosso VR, Mark Zuckerberg ha sparato alto, promettendo di portare in breve tempo la realtà virtuale nelle mani di un miliardo di persone. Forte del proprio ruolo di influencer su scala globale, il famigerato CEO di Facebook non ha fatto altro che catalizzare l’attenzione sul proprio prodotto ed aumentare le aspettative in merito alle potenzialità delle reality technologies. Fin qui, nulla di strano.
Del resto Zuckerberg le idee le aveva ben chiare già tre anni fa, quando ha investito la modica cifra di due miliardi di dollari per acquisire Oculus e annetterla all’ecosistema social che fa capo a Facebook. Un investimento di cui oggi soltanto oggi si intuiscono i primi risultati, iniziando a percepire, forse, qualcosa di concreto. Tantissime demo, bellissimi prodotti e applicazioni in prossima uscita, ma è davvero tutto oro quel che luccica?

Una delle immagini più celebri del 2016. Mark Zuckerberg ride sornione al cospetto di una massa immersa (o forse sarebbe meglio dire assorbita?) nell’esperienza virtuale. Una chiara metafora rispetto alla posizione da Grande Fratello che esercita con il suo impero social (credits Cbs News)
In verità, analisti come Todd Haselton (CNBC) fanno notare come ad oggi, numeri alla mano, Oculus rappresenti forse l’unico “errore” commesso da Zuckerberg in termini di investimento, soprattutto considerati i ritorni che sta avendo dalle altre acquisizioni più celebri: Instagram (1 miliardo di dollari. 30 milioni di utenti nel 2012, 800 milioni nel 2017) e Whatsapp (19 miliardi. 450 milioni di utenti nel 2014, 1300 milioni nel 2017). Le cifre ufficiali relative alle vendite di Oculus Rift non sono mai state divulgate, ma il suo significativo taglio di prezzo (da 599 a 399 dollari) e l’introduzione del nuovo visore Oculus Go (199 dollari previsti al lancio) sono il chiaro indice di una strategia fortemente virata ad espandere una base di mercato al momento troppo stretta.
I limiti del mercato VR consumer: Mancanza di una vera Killer App e costi elevati
A livello consumer oggi pochi utenti sarebbero disposti a pagare certe cifre (si superano ampiamente i 1000 dollari considerando anche un pc desktop di adeguata potenza, NdR) senza una vera killer app in grado di giustificare tale esborso. In tal senso è stata molto più fortunata e lungimirante la Sony, che con il suo Playstation VR ha saputo sfruttare l’effetto novità in ambito gaming, a costi complessivamente più accessibili, nonostante un dispositivo che a livello hardware presenta specifiche decisamente più limitate rispetto ai kit VR desktop come Rift e Vive. La PS4 ha titoli in VR da spendere sul mercato e l’interesse anche marginale del suo enorme bacino di utenza le ha garantito un inaspettato successo di vendite (oltre 2,6 milioni di unità stimate soltanto per il 2017, fonte Superdata, NdR).
Ad oggi Rift non ha una applicazione forte, né un ecosistema di contenuti su cui appoggiare una community dedicata nello specifico.
Non è un caso che il dispositivo più diffuso nell’offerta di Oculus rimanga il Samsung Gear VR (stimato in circa 5 milioni di unità, fonte Samsung, NdR). Un successo la cui paternità è facilmente attribuibile ad altri fattori, tra cui il fatto che in circolazione vi siano decine di milioni di Galaxy S7 e S8, con cui Gear VR viene spesso offerto in bundle, piuttosto che all’operato del marchio VR di casa Zuckerberg.
Al tiepore in termini di vendite, si aggiunge un altro aspetto probabilmente ancora più limitante.
Scarso interesse per i social VR
Ad oggi i simpatici avatar di Facebook Spaces paiono non aver convinto i miliardi di utenti del più popolare social network del pianeta. In attesa di capire se il lancio sostenuto della piattaforma, il nuovo software Rift Core 2.0 e il visore mainstream Oculus Go riusciranno a risollevare le sue sorti, l’esperienza social VR rimane sostanzialmente un oggetto misterioso. Qualcosa di cui nessuno, al momento, sente probabilmente la necessità.
Basterà la possibilità di poter personalizzare la propria faccina e la propria social home virtuale per far decollare la voglia di condividere la nostra esperienza in VR?
Non è un problema che riguarda soltanto Facebook, che tutto sommato è ancora in fase embrionale in questo discorso. Ad altri è andata decisamente peggio. Basti pensare ad Altspace VR, startup da dieci milioni che ad agosto era praticamente fallita, prima di essere rilevata da Microsoft. Più per far cassa di brevetti e tecnologie che non per un servizio che ad oggi vivacchia nella propria inutilità, in attesa di capire se a Redmond vogliano riservargli un ruolo attivo nell’ecosistema Mixed Reality, attualmente in fase di lancio.
Se oggi la VR non paga, perché è capace di attirare su di sé tutte queste attenzioni? Perché i big one continuano ad investire miliardi di dollari su questa tecnologia? Hype. Aspettativa. Per tutti la VR, rimanendo su definizioni care agli analisti americani, ha tutto per essere The Next Big Thing.
Al di là di qualsiasi implicazione speculativa, l’Hype sulle reality technologies spiega il senso di fenomeni quali Magic Leap, una startup, si dice, da 6 miliardi di dollari che ad oggi non ha prodotto ancora nulla di tangibile, pur avendo finalmente presentato Magic Leap One, i cui kit per gli sviluppatori saranno finalmente disponibili a partire dal 2018. Da anni Magic Leap dovrebbe rivoluzionare la Realtà Aumentata, o mista che dir si voglia. Dovrebbe, perché finora sono state soltanto prodotte e divulgate delle demo fake. Bellissime, ma incoerenti con l’esperienza che questi visori saranno in grado di garantire. Nel caso di Magic Leap parliamo della sola punta di una iceberg ancora quasi del tutto sommerso. Emergerà?

Magic Leap One. Il visore augmented / mixed reality su cui sono state concentrate delle aspettative stratosferiche. Le feature parlano di tecnologie lightfield, contenuti persistenti e sistemi di tracking rivoluzionari. Ma quando saranno realmente disponibili a tutti? Il kit per gli sviluppatori sarà disponibile a partire dal 2018 (credits Magic Leap)
A che punto è davvero oggi la Realtà Virtuale?
Sin dalle sue prime applicazioni, la Realtà Virtuale è parsa in grado di trasformare in modo radicale il nostro modo di lavorare, imparare e comunicare, oltre a offrire delle potenzialità inedite nel modo in cui scambiamo informazioni e interagiamo con il mondo in cui viviamo. Il sentimento diffuso non si chiede se la VR ce la farà o meno. La domanda è piuttosto: quando ce la farà? Si tratta di un atteggiamento che genera un senso di impazienza, soprattutto a livello mediatico, dove le sentenze fioccano quotidianamente, salvo essere smentite senza troppi imbarazzi di sorta.
Alle critiche e allo scetticismo generale manifestato dagli analisti ha risposto indirettamente Nate Mitchell, co-fondatore di Oculus, rimasto nel team di Facebook a differenza del suo ex-socio più celebre: Palmer Luckley. Mitchell non si è nascosto, anzi, è stato molto lucido nella propria analisi: “Sappiamo di aver generato molta aspettativa attorno a questo fenomeno, perché crediamo davvero nelle potenzialità della VR […] ma siamo realisti. Siamo i primi a dire che ci aspetta un viaggio che durerà almeno dieci anni“. L’arrivo di dispositivi Oculus più economici sarebbe inoltre soltanto parte di una strategia più ampia: “Coinvolgerà una differente tipologia di utenti e aumenterà il numero complessivo di persone che useranno la VR“.
A prescindere dalla piattaforma, è per i big one è importante allargare la base di utenza, per creare un mercato i cui numeri giustifichino le loro ambizioni in termini di business. E’ la ragione per cui la VR viene prospettata come una tecnologia di massa, quando attualmente, come vedremo tra poco, troverebbe una giustificazione ben più consona nelle applicazioni business.
Consumer vs Enterprise: Hype Cycle
Il costante conflitto tra l’esaltazione mediatica e i dati reali legati alla crescita di una nuova tecnologia ricordano quanto avvenuto per le aspettative sulla stampa 3D e più in generale il concetto di Hype Cycle, definito da una celebre analisi di Gartner.
L’andamento in funzione del tempo della popolarità di una tecnologia sarebbe il seguente. Dopo una prima fase di grande esaltazione mediatica (fase 1 – Peak of Inflated Expectations), emergerebbe l’incoerenza rispetto ai dati reali del business, con un conseguente crollo di popolarità (fase 2 – Through of Dillusionment). A questi si accompagna spesso anche un contraccolpo in termini economico-finanziari. Nel caso della Stampa 3D ricordiamo come molti produttori consumer, quelli che promettevano di portare la stampante 3D nelle case di tutti, sono crollati fino al 90% in borsa, in seguito falliti o hanno comunque dovuto ridimensionarsi e ristrutturare drasticamente il proprio business plan, orientandolo verso il settore enterprise.
La fase 3 – Slope of Enlightenment è caratterizzata da una ripresa, supportata sia dalla spinta che la tecnologia ha dove genera realmente un business, che dalle novità che nel frattempo vengono introdotte sul mercato, utili a generare nuova aspettativa. Da questo punto in poi, la crescita si fa più lenta, ma costante, senza squilibri. Inizia dunque la fase 4 – Plateau of Productivity, che consolida la percezione di una tecnologia emergente, proiettandola nella fase della maturità.

Il grafico è una semplificazione del diagramma originariamente pubblicato da Gartner, per illustrare l’andamento delle nuove tecnologie in termini di popolarità. (credits Wikipedia)

Dove si sarebbero posizionate, sul celebre Hype Cycle di Gartner, le tecnologie AR e VR (credits Charles McLellan/ZDNet)

Le considerazioni sul Hype Cycle derivano, almeno parzialmente, dall’analisi dei dati oggettivi di Google Trends nel medesimo periodo di riferimento. Google dimostra chiaramente come le keyword legate alla VR abbiano un impatto mediatico decisamente superiore rispetto a quelle legate alla AR (credits ZDNet)
Nel caso della Realtà Virtuale le condizioni al contorno sono differenti rispetto a quelle della stampa 3D, la cui natura è innatamente più legata al contesto produttivo e industriale. Questione che rendeva assai lecito aspettarsi che il comune mortale non sapesse in buona sostanza cosa farsene di una stampante 3D in casa.
Nel caso della VR, questo Hype Cycle potrebbe riproporsi, anche se in termini più mitigati, meno bruschi negli esiti. La caduta causata dalla disillusione potrà essere meno traumatica rispetto a quanto vissuto dalla stampa 3D, anche grazie ai colossi che la sostengono e sul fatto di basarsi, almeno inizialmente, su tecnologie diffuse in modo capillare, come i dispositivi mobile.
Un altra analisi, orientata in modo esplicito al mercato, è emersa da una recente riflessione di Upload VR, che ha riunito i dati di alcuni censimenti legati alla diffusione delle tecnologie di massa, dal 1970 al 2000. Alcune tecnologie, come la Radio e la Televisione, sono state molto rapide nella loro ascesa ed hanno raggiunto la quasi totalità dei consumatori. Le più recenti tecnologie della comunicazione, come internet, i computer e i dispositivi mobile, paiono avviati verso una sorte analoga, mentre altre tecnologie, infrastrutturali o legate ai trasporti, avrebbero seguito un percorso evolutivo più lento. Nel caso delle automobili mantenendo una connotazione leggermente più elitaria, rimanendo ben al di sotto del 80% del target potenziale.

Andamento percentuale della diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione dalla loro introduzione. I dati sono riferiti agli Stati Uniti (credits Upload VR)
Nel caso della VR sarebbe impossibile fare questo genere di proiezione, in quanto non si hanno ancora dati concreti in merito alla sua effettiva diffusione. Ci si può piuttosto basare su una serie di analisi e proiezioni, caratterizzate peraltro da una forbice previsionale molto ampia. Digi-Capital ha condotto un’analisi mirata a mettere in evidenza più fattori, sia quantitativi che qualitativi, relativi ai volumi di affari ed alla diffusione delle tecnologie.

VR-AR installed base (credits Digi-Capital)
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Stima del volume d’affari del mercato VR-AR (credits Digi-Capital)
Proiezioni come quelle proposte in questo frangente da Digi-Capital vengono costantemente svolte da tutti i più rilevanti analisti. Sono soggette a continue revisioni, in grado di far oscillare anche parecchio gli ordini di grandezza del business, le cifre del mercato AR-VR del futuro. Alcuni analisti, come Juniper e Beecham, si rivelano più prudenti. Altri, come nel caso di Gartner, tendenzialmente più ottimisti. A livello qualitativo vi è tuttavia una costante, ricorrente nelle previsioni di business in almeno due aspetti: una crescita continua e costante e la netta prevalenza del settore mobile rispetto alle applicazioni desktop, soprattutto grazie alle aspettative create da Apple e Google con le rispettive tecnologie per sviluppare contenuti AR mobile: ARKIT e ARcore.

Il grafico redatto dal celebre CG Insights si riferisce ai Deals, ossia il volume d’affari relativo agli affari effettivamente conclusi nei vari ambiti che interessano AR e VR. Anche gli andamenti prospettati da CB conferermebbero le previsioni di Digi Capital, con il segmento AR in procinto di raggiungere la VR, ed eventualmente superarla nel corso dei prossimi anni. A scanso di equivoci, converrebbe riferirsi in termini più generici al concetto di reality technologies. Etichettare le tecnologie virtuali ed aumentate rischia di generare inevitabilmente confusione, soprattutto considerando come le due dimensioni della presenza siano inevitabilmente destinate a coesistere (credits CB Insights)
A prescindere dal fatto che si parli di AR o VR, i numeri degli analyst riflettono uno scenario assolutamente verosimile, dal momento che il segmento VR-AR mobile sfrutta logicamente dei dispositivi, smartphone e tablet, già presenti a prescindere sul mercato, mentre le soluzioni desktop, nella grande maggioranza dei casi, comportano investimenti su dispositivi ad hoc, mediamente costosi e finora privi del riscontro di quelle killer app di cui abbiamo parlato in precedenza. In buona sostanza oggi la VR “vera”, quella capace di generare contenuti in tempo reale, è roba per nerd o per chi vuole implementarla per dare un valore aggiunto al proprio business, facendo leva sull’impareggiabile livello di coinvolgimento che le tecnologie immersive sono in grado di garantire.
La VR non è, oggi, una tecnologia per tutti. Lo diventerà? Quando? Cosa serve perché ciò accada? Oggi una risposta certa a queste domande non esiste. L’aspetto più interessante con cui approcciare questo scenario emergente è piuttosto un altro. E’ possibile sfruttare sin d’ora, con successo, la VR per il proprio business?
Come sfruttare la VR-AR in ambito aziendale?
In attesa che Zuckerberg e soci evangelizzino le masse, in ambito business, oggi è già possibile avvalersi con profitto delle tecnologie VR, implementando su ampia scala servizi e soluzioni in grado di generare vantaggi oggettivi per tutti i processi che le vedono coinvolte. Con l’oggettivo valore aggiunto dato dall’arrivare prima sul mercato e differenziarsi rispetto alla concorrenza.
Due esempi, sviluppati di recente da Protocube Reply, mostrano alcune di queste possibili applicazioni in ambiti tra loro completamente differenti.
Training VR. Soluzioni pratiche, sicure e accessibili per il learning e il maintenance industriale.
Poltrona Frau VR Exhibit @ Campus Party Italia. VR per coinvolgere il cliente nell’esperienza fieristica e retail.
La costante, come sempre accade nel caso di implementazione di nuove tecnologie, è focalizzare con un approccio taylor made l’esigenza di ciascuna azienda, in modo da raggiungere i suoi obiettivi individuando di volta in volta il cocktail di soluzioni 3D e VR più efficaci.
Note – Le fonti utilizzate per la redazione del presente articolo sono riconducibili a:
- CNBC, Cbs News, UploadVR, Samsung, Gartner, Superdata, Sony Playstation, Oculus, Htc Vive, Facebook, Digi-Capital.
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