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Il Generative Design è un fenomeno destinato a rivoluzionare approcci e modus operandi nella progettazione.
L’esempio più ricorrente per spiegare questo concetto è l’ottimizzazione formale della sedia. Dopo aver “imparato” una grande quantità di sedie, un sistema grazie all’intelligenza artificiale è in grado di simulare moltissime soluzioni progettuali. Non si parte più da un obiettivo formale, si ragiona nell’ottica di un risultato che coincide con un determinato obiettivo funzionale. Il design che ne deriva spesso è qualcosa di inconsueto rispetto alla concezione tradizionale della sedia, richiamando piuttosto articolate forme organiche, non realizzabili senza l’utilizzo della stampa 3D.

Grazie alle enormi quantità di dati in Cloud che i sistemi di generative design saranno in grado di processare e simulare in maniera sempre più accurata. Ma che caratteristiche devono avere questi dati? In occasione della tappa milanese di Redshift Live, abbiamo avuto occasione di incontrare Massimiliano Moruzzi, ricercatore del Centro di Scienze Computazionali di Autodesk, con sede a San Francisco (USA). Massimiliano ci ha parlato delle ricerche che il suo gruppo sta realizzando nell’ambito di una nuova disciplina: il Generative Manufacturing.
(FLT) – Il main event di Redshift Live titola “Autonomous Manufacturing and Smart Materials”, sostanzialmente i due ingredienti alla base del Generative Manufacturing.
(MM) – La riflessione che propongo al pubblico di Redshift Live è molto semplice. Se usassimo le stampanti 3D per fare le stesse cose che abbiamo fatto fino ad ora con i metodi di produzione tradizionali, soltanto nella prospettiva di sfruttarne i vantaggi diretti, probabilmente avremmo una visione ampiamente sottostimata delle potenzialità dell’Additive Manufacturing. Non voglio sminuire le attuali applicazioni, dico che dobbiamo iniziare a pensare a ciò che è possibile fare sin d’ora, ossia concepire un sistema di manifattura in grado di regolarsi in maniera autonoma, in maniera sensibile all’ambiente, esattamente come avviene nei processi della natura.
(FLT) – Ricordo un tuo celebre articolo, pubblicato su TechCrunch, con una frase in cui probabilmente risiede tutta la forza di questo concetto: E’ come se i materiali stessero diventando non soltanto intelligenti, ma vivi.
(MM) – Certamente. Grazie ai materiali compositi è possibile realizzare dei sistemi che oltre a svolgere funzioni di monitoraggio, grazie ai sensori, sono capaci di adattarsi alle condizioni dell’ambiente che li circonda. Questo è l’aspetto in assoluto più interessante in funzione della progettazione. Sistemi come il calcestruzzo, pesanti, facilmente degradabili e scarsamente eco-sostenibili, non hanno senso di esistere nelle costruzioni del futuro. Oggi possiamo realizzare materiali leggeri, economici e in grado di rispettare l’ambiente oltre a godere di proprietà attive, come la capacità di autoripararsi grazie a microcellule dotate di particolari resine. Questo consentirebbe di aumentare la vita media degli edifici, rendendoli ancora più efficienti dal punto di vista dell’eco-sostenibilità, oltre che della sicurezza.
Applicazioni di questo genere sono già in fase avanzata nella ricerca nel settore aeronautico. Se attraverso i sensori presenti nello strato di rivestimento il sistema diagnostica una lesione, ad esempio sull’ala, può provvedere a ripararla in modo autonomo. Airbus è da tempo attiva su questo progetto in collaborazione con l’Università di Bristol. Potremmo citarne molti altri.
(FLT) – Quale rapporto intercorre tra il Generative Manufacturing e il Generative Design, ed in quale misura il primo risulta funzionale al secondo?
(MM) – Il Generative Manufacturing e il Generative Design insieme definiscono quello che a mio avviso dovrebbe essere il vero Digital Twin. Oggi la percezione che si ha del digital twin è prevalentemente legata ad un modello 3D che riproduce la forma e le caratteristiche di una controparte fisica. I software eseguono delle simulazioni sulla base di questi dati. Per quanto accurato, un digital twin concepito con questa logica è per forza di cose limitante. Può essere un primo passo nella concezione digitale, ma non può considerarsi assolutamente un punto di arrivo, almeno se parliamo di vero Generative Design. Il sistema generativo sarebbe infatti limitato a tutte le istruzioni che gli sono state impartite durante la fase di learning, che per quanto complete non saranno mai in grado di recepire e simulare il comportamento di un materiale in natura. L’unico modo per superare questo limite è che le informazioni arrivino dal materiale stesso, grazie alle sue capacità di “sentire” e reagire in modo attivo alle circostanze ambientali.
Il Generative Design può a mio avviso lavorare su un vero Digital Twin soltanto se è capace di sintetizzare e simulare di conseguenza tutte le proprietà di quest’ultimo, sia formali che materiche. Non deve esserci alcuna differenza tra il modello reale e il modello digitale. Il secondo non può essere la riproduzione parziale del primo.
Attraverso il Machine Learning siamo in grado di istruire i sistemi con dati di qualsiasi genere, compresi quelli che arrivano dai materiali intelligenti, o vivi, se tale definizione può rendere al meglio il concetto.
(FLT) – Ancora una volta la natura diventa, scusa il gioco di parole, la fonte di ispirazione più naturale?
(MM) – Certo, e non è un fatto inedito, si lavora da molti anni su questo: c’è solo un problema. Finora si è partiti dall’albero. Occorre invece partire dal seme. In natura l’albero non è predeterminato, assume determinante caratteristiche in funzione dell’ambiente in cui cresce. Lo stesso può avvenire nel design, aprendo potenzialità creative immense, nell’ottica di personalizzare al massimo il prodotto. L’Additive Manufacturing ci consente di ragionare in quest’ottica. Prima non si poteva fare.
(FLT) – L’Additive Manufacturing consente di realizzare sostanzialmente quasi ogni forma in natura, ma fino a che punto potranno spingersi i materiali compositi?
(MM) – Difficile dirlo con certezza, ma sicuramente in futuro le possibilità applicative, grazie alla ricerca, saranno sempre maggiori. Vorrei dunque porre l’attenzione sul fatto che oggi sia possibile dare forma e sperimentare quasi qualsiasi idea e che l’innovazione non debba assolutamente perdere questa opportunità. Nell’industria tendono ad imporsi degli standard, se ci riferisce sempre agli schemi consolidati, si tende a migliorare un prodotto, ma innovare per davvero diventa difficile.
(FLT) – Un caso di ricerca molto interessante è costituito dai cablaggi dell’automobile, generati in stampa 3D insieme ai pezzi della carrozzeria. Con la stessa logica potrebbero essere realizzati anche gli impianti degli edifici. Quando vedremo questo genere di applicazioni?
(MM) – Siamo già attivi nella sperimentazione con un’automobile. Per ora non posso divulgare molti dettagli, per via della sua riservatezza, ma posso citare gli estremi per far capire il concetto su cui stiamo lavorando. Anzichè realizzare le strutture e i cablaggi separatamente è possibile ottimizzare il numero di componenti, stampandoli in 3D entrambi. L’ispirazione deriva molto semplicemente dal sistema nervoso del corpo umano, simile sia nella forma che nel modo in cui lavora la macchina.

che agiscono quali “Functional Agents” consente di creare dei veri e propri sistemi senzienti… simili nella logica di comportamento ai neuroni di una persona. (credits, vedi note)
(FLT) – Un altro esempio straordinariamente suggestivo è dato dai sistemi cognitivi, in grado di riconoscere e analizzare sistemi complessi come l’organismo umano, rilevandone i parametri biometrici
(MM) – In applicazioni di questo genere, oltre all’intelligenza del sistema computazionale che riceve i dati dai sensori, ci è di grandissimo aiuto la Realtà Aumentata, per visualizzare i dati, ad esempio all’interno di un’automobile o di un’abitazione. Gli ambienti che viviamo possono diventare intelligenti. Un caso concreto deriva ancora una volta dall’automotive, dove Paulo Gameiro, con il suo progetto HARKEN ha utilizzato i tessuti smart con cui sono realizzati i sedili della vettura, per monitorare in tempo reale il battito cardiaco e la respirazione del guidatore. L’obiettivo in questo caso è costituire in sistema di allerta contro i colpi di sonno. Sulla base di questo principio, possiamo sviluppare qualsiasi applicazione funzionale alla sicurezza, con ricadute molto positive anche in termini sociali.

(FLT) – E’ cognitivo anche il concetto di smart skin degli edifici, che potrebbero autoregolarsi in funzione degli stati d’animo e di comfort dei loro abitanti. Futuristico, ma certamente suggestivo, soprattutto in funzione dei vantaggi che potrebbero derivarne.
(MM) – Sviluppare queste tecnologie comporta tirare in ballo questioni etiche, legali, di privacy e tantissimi altri aspetti che interessano il dibattito legato alla biomedica. Credo sia necessaria una visione positiva. Pensiamo appunto ai vantaggi che potremmo avere, forse anche a breve termine, dall’utilizzo dei materiali senzienti nella diagnosi precoce di particolari patologie.
I robot cognitivi possono prevenire le malattie e salvare vite umane, se saremo in grado di implementarli negli ambienti in cui viviamo. Stiamo parlando di soluzioni che il cinema di fantascienza ci prospetta da molti anni. Le tecnologie per iniziare a farlo in modo concreto ci sono. La ricerca deve assolutamente spingersi verso questa direzione. Non dobbiamo porci nell’ottica di scoprire qualcosa di clamoroso, ma di rendere fattibili delle applicazioni di cui anche un bambino sarebbe in grado di capire l’esigenza e l’utilità.

DEPLOYABLE MICRO FACTORY – Concept di factory composta da un solo robot e da un “synthetic brain”. Insieme realizzano strutture in free-form grazie alla manifattura additiva. Il cervello sintetico, grazie ai suoi algoritmi neurali assume un comportamento simile a quello di una persona, con il vantaggio di essere interamente digitale. Un sistema di questo genere è in grado di gestire qualsiasi prodotto interamente in digitale (digital twin), replicandolo nel mondo fisico in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo grazie al robot e alla stampa 3D (credits, vedi note)
NOTE
Dove non altrimenti precisato, le immagini sono tratte dalla presentazione “The Future of Making Things” di Massimiliano Moruzzi. I diritti dei contenuti delle immagini appartengono ai rispettivi proprietari.
Nell’immagine di copertina, Massimiliano Moruzzi è alle prese con i laboratori sperimentali di NASA Swamp Works, dove si stanno mettendo a punto sistemi per costruire su Marte recuperando le materie prime direttamente sul pianeta rosso. Un risultato possibile grazie a sistemi basati su IA, Robotica e Stampa 3D.
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