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articolo realizzato in collaborazione con Massimiliano Moruzzi (Autodesk Research) *
Le dinamiche che hanno coinvolto i mercati nel corso degli ultimi anni rendono necessaria una profonda riflessione sul concetto di mass customization. Per le aziende è stata per anni un sogno, che oggi, grazie alla maturazione delle tecnologie necessarie per concretizzarla, sta diventando realtà. Allo stesso tempo, c’è il rischio che si tratti di qualcosa di superato sul nascere. Se l’essenza del suo paradigma originale era quello di ovviare alla produzione di massa in favore di una metodologia di produzione capace di adattare i prodotti a molteplici configurazioni scelte dall’utente, oggi il focus si sta spostando dal prodotto a qualcosa di più ampio e complesso da inquadrare. I punti di riferimento variano continuamente, basti pensare all’evoluzione dei canali di vendita.
Se nel 2020 vendere prodotti su più canali è un fatto consolidato, emerge piuttosto un’esigenza di omnicanalità, per dare corpo ad esperienze che si basano su una relazione continua e durevole tra un brand e i suoi clienti, parte sempre più attiva del processo. Questa visione si colloca in maniera diametralmente opposta rispetto ai modelli di mercato tradizionali, che fino a qualche anno fa erano appunto condizionati da logiche di massa, tipicamente imposte dall’alto, salvo rare e pionieristiche eccezioni.
Mass Customization: intelligente, fattibile e sostenibile per i brand
Se i concetti legati alla mass customization non costituiscono una novità, è piuttosto variato in modo sostanziale lo scenario di riferimento in cui si materializzano. L’ evoluzione del contesto digitale ha introdotto tecnologie e metodi che rendono oggi possibile sia un approccio concreto alla personalizzazione del prodotto che la possibilità di dialogare attivamente con l’utente durante l’intero customer journey. Una generative experience che potremmo sintetizzare in tre fasi fondamentali.
Step 1 – Rendere l’utente parte attiva dell’esperienza (design driven by the user)
Quante volte, leggendo riguardo i vari temi connessi alla trasformazione digitale, ci è capitato di leggere che è necessario “mettere l’utente al centro dell’esperienza”? Ma in cosa si traduce, a livello pratico, questa inflazionata espressione? Cosa devono fare i brand per mettere i loro clienti, e potenziali tali, al centro dell’esperienza di acquisto?
Quando l’esperienza della personalizzazione deriva da una componente olistica, sarebbe riduttivo limitare gli effetti della configurazione di un prodotto ad una serie più o meno estesa di opzioni preimpostate: configurare è una condizione necessaria ma non sufficiente. Digitalizzare un catalogo tradizionale costituisce la base di partenza indispensabile per presentare un prodotto su qualsiasi dispositivo, al fine di stabilire una relazione continua con gli utenti. In questa ottica, il semplice modello 3D realistico non basta, è se mai lo strumento che dà valore alla relazione stessa.
La possibilità di interpretare i dati comportamentali degli utenti rende decisamente auspicabile il superamento del catalogo tradizionale, fisico o digitale che sia, per sfruttare davvero le potenzialità che oggi la tecnologia offre in termini di personalizzazione dell’esperienza. Che senso avrebbe avere a disposizione una enorme quantità di dati usabili, con informazioni sempre più accurate in merito ai desideri e alle esigenze di ciascun cliente, per limitarsi ad offrire la scelta di una serie di opzioni predeterminate? La vera personalizzazione, nel rispetto delle regole e dei vincoli che l’azienda ritiene opportuni, è data dalla possibilità di generare in tempo reale il prodotto che l’utente desidera. Non è eccessivo, di conseguenza, ragionare in termini di marketing generativo.
Mettere l’utente al centro dell’esperienza vuol dire in primo luogo conoscere ed interpretare le sue esigenze, per rispondere con prodotti coerenti, ai fini di realizzarli entro una logica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Step 2 – Il discovery dell’esperienza e l’interazione con gli utenti
Stabilire una relazione attiva tra i contenuti di un brand ed i propri utenti è uno degli obiettivi principali di qualsiasi strategia legata alla customer experience dei prodotti e dei servizi dell’azienda stessa. Per rendere funzionale questo processo è dunque necessario creare delle interfacce in grado di comunicare in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo con i consumatori, per acquisire ed analizzare i dati relativi al loro comportamento e alle loro esigenze.
Si prospetta quindi il contesto di una vera Augmented Reality, fatta di tracker e sensori intelligenti, in grado di intercettare sia digitalmente che fisicamente le abitudini dell’utente (es. via connessioni neurali). L’ obiettivo potrebbe sembrare scontato: acquisire quelle informazioni indispensabili per il machine learning delle intelligenze artificiali istruite per generare il comportamento degli assistenti virtuali. In realtà, questo processo è la base di qualcosa di molto più ampio in termini di potenzialità e che potremmo assoggettare nel generative design.
In continuità con le riflessioni sul catalogo affrontate nel paragrafo precedente, perché limitarsi alla visione del designer? Se per un brand lo stile e la firma costituiranno sempre degli elementi di valore, ci sono molti contesti in cui il nesso formale può legarsi alla natura funzionale degli oggetti partendo quindi dal presupposto di generare un prodotto sulla base di ciò che serve e piace all’utente finale. Un sistema di generative design, continuamente istruito in merito a tutte le variabili fondamentali nella creazione di un prodotto, diventa un fattore decisivo: in primo luogo quale suggeritore del progettista, in secondo luogo nel connettere in tempo reale tutti gli stakeholder aziendali (dalla progettazione alla vendita) ed infine nel configurarsi quale parte autonoma nella relazione tra il brand ed il cliente.
Tradurre l’esperienza in prodotto è una delle chiavi della trasformazione digitale, possibile grazie ad una pluralità tecnologica in grado di gestire l’intero flusso di dati, dall’ascolto del potenziale cliente (IoT, AR Cloud, ecc.) fino alle applicazioni 3D basate sull’intelligenza artificiale (simulazioni e digital twin) che implementano tutti i processi di design, fino alla fabbricazione basata sulla produzione additiva (stampa 3D).
Step 3 – Dall’esperienza al prodotto: il manufacturing nella factory intelligente e sostenibile
Nella concezione del generative design, la macchina, tradizionalmente “stupida”, progettata per automatizzare le procedure ed eseguirle in modo seriale, diventa un oggetto intelligente. Il sistema di produzione assume un ruolo fondamentale, in grado di scambiare informazioni in tempo reale con il cervello sintetico che genera il prodotto nella forma di modello digitale (digital twin) che contiene tutte le informazioni necessarie alla fabbricazione.
Il digital enabler per eccellenza, in tal senso, è costituito dalla manifattura additiva. I sistemi di stampa 3D consentiranno di abbandonare progressivamente gli enormi stabilimenti produttivi concepiti per la produzione di massa a favore di “one point factory” dalle dimensioni più sostenibili in termini di spazi e risorse utilizzate, oltre alla capacità di adattarsi in maniera più longeva a cicli e metodi di produzione.
Uno step evolutivo fondamentale nella generative experience è dunque costituito dalla ricerca sui materiali. La sfida si gioca in due direzioni. Da un lato certificare in maniera crescente per la stampa 3D i materiali utilizzati in ambito tradizionale, in particolar modo per quanto concerne i metalli e le leghe metalliche. In secondo luogo superare il contesto tradizionale, limitato all’isotropia del materiale, a favore di soluzioni composite in grado di sfruttarne le capacità attive e dotati di sensori in grado di raccogliere dati e informazioni, comunicando in maniera bidirezionale con il cervello sintetico che fa capo alla produzione. Il fronte di utilizzo dei cosiddetti smart materials può infatti consentire la creazione di innumerevoli scenari di business, in maniera dirompente rispetto a quanto avviene ora.
Produrre secondo criteri di sostenibilità costituisce per l’azienda una grande opportunità, in grado di generare quei vantaggi, in primis economici, indispensabili per il successo e il futuro del brand stesso. L’ obiettivo non coincide nell’assecondare normative che saranno sempre più stringenti, quanto al momento facili da eludere. Allo stesso modo, non è necessario coniare nuovi e suggestivi slogan per campagne adv che si rivelano spesso prive di sostanza, quando sottoposte ad un elementare fact checking. Le aziende hanno oggi gli strumenti necessari per costruire una relazione sincera con il proprio cliente, una qualità decisiva nel generare la fiducia verso l’acquisto.
La connessione in tempo reale con il cliente consente di passare da una procedura d’acquisto seriale ad una on demand, con l’effetto di ridurre gli sprechi ed mitigare quei fenomeni di sovra-produzione che costituiscono dei fattori penalizzanti lungo tutto il ciclo di vita del prodotto.
Il prezzo da pagare: la condivisione dei dati per un beneficio comune
Una delle principali barriere nel rapporto tra il consumatore ed i sistemi di commercio online è relativo al fatto di dover costantemente concedere i propri dati comportamentali. A prescindere dalle questioni legate al trattamento, il dato diventa infatti l’informazione essenziale, da analizzare per generare qualsiasi attività da parte del provider di prodotti / servizi.
Oltre ad un requisito di trasparenza, si rende necessaria una percezione di utilità e beneficio. I segnali, da questo punto di vista, sono confortanti. Un recente survey svolto negli Stati Uniti da un soggetto autorevole come la NRF (National Retail Federation) ha evidenziato come il target più giovane sia assolutamente favorevole a ricevere suggerimenti utili ai propri acquisti. Il che comporta l’utilizzo di assistenti istruiti praticamente in tempo reale grazie all’analisi dei dati dell’utente.
Senza entrare nelle implicazioni etiche che la materia necessariamente comporta, recepire il “DNA” del cliente non dovrebbe equivalere a “rubare” i dati relativi al suo comportamento con finalità speculative (es. commercio dei dati a soggetti terzi ed altri secondi fini) ma ad avere le informazioni necessarie per creare prodotti “vivi”, capaci di dialogare con quei sistemi cognitivi in grado di orientarli creativamente verso l’unicità del cliente. L’ obiettivo è uno scenario di elevata democratizzazione in cui i brand possono sfruttare le possibilità offerte dai sistemi di generative design per soddisfare in maniera puntuale le esigenze dei singoli utenti.
Dall’idea di business ai casi di successo: sfruttare le tecnologie digitali per offrire soluzioni concrete al consumatore
Lo scenario descritto non è tratto da un film di fantascienza, ma è già in tutto o in parte implementata nei business case in cui la proposta di valore non risiede esclusivamente nelle qualità intrinseche del prodotto, estendendosi alla relazione che si crea tra il cliente ed il prodotto o il servizio offerto dal brand. Vediamo dunque alcuni esempi che implementano il concetto di generative experience.


Il presente articolo costituisce la terza uscita su 3D STORIES dedicata ai temi generativi. In precedenza sono stati pubblicati i seguenti articoli, di cui suggeriamo la lettura: Generative Design e Generative Manufacturing.
*Massimiliano Moruzzi (Autodesk Research Senior Scientist) è da oltre 15 anni attivo quale Lead Scientist & Business Innovator negli ambiti degli Smart Materials e della Disruptive Manufacturing Process Automation con competenze specifiche nell’individuare tecnologie e soluzioni per implementare prodotti e servizi innovativi. La sua esperienza di business developer lo ha visto affiancare aziende leader quali Boeing, Airbus, Lockheed Martin, FCA, GM, Ford, Lamborghini, Ferrari e numerose startup tecnologiche.
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