Facebook Horizon: l’alba del social VR “post web”

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L’ultima creatura di Mark Zuckerberg si chiama Facebook Horizon. Nel suo ingresso dirompente all’evento Oculus Connect 6, Horizon si è presentato con l’ambizione di rappresentare la prossima generazione del social VR, probabilmente ancor prima di aver celebrato i funerali di quella attuale.

Oltre ad accomodarsi i favori del grande pubblico nel contesto di eventi impeccabili, Facebook detiene un ruolo chiave nell’industria della realtà virtuale, non soltanto per via della storica acquisizione di Oculus (2 miliardi di dollari nel 2014), che rappresenta tuttora l’anello più celebre di una catena destinata ad allungarsi sempre di più. Lo dimostrano i 500 milioni appena investiti per assicurarsi CTRL-Labs, azienda specializzata in interfacce neurali, così come le decine di altre acquisizioni messe a punto per assicurarsi brevetti e tecnologie fondamentali per investire senza indugi sui nuovi paradigmi tecnologici. In previsione futura, si tratta con ogni probabilità del miglior investimento possibile per quella che John Evans, su Techcrunch, definisce “l’era del post-web”, laddove gli straordinari numeri di Facebook e Instagram potrebbero venire meno per lasciare spazio ad un nuovo media in grado di coinvolgere il pubblico: un treno da non perdere, anche a costo di rischiare di partire lunghi, molto lunghi, come è accaduto nel caso di Facebook Spaces e Oculus Room, due progetti VR che il colosso social è stato in qualche modo “costretto” a chiudere, ufficialmente per concentrarsi su Horizon. Nella sostanza a fronte dei tiepidi risultati fin qui ottenuti. Un prezzo da pagare nella lunga e tortuosa strada che porta verso il successo, un percorso dove nulla è scontato, nemmeno per un gigante con Facebook.

Nonostante l’ecosistema VR di Facebook sia complessivamente in crescita, Zuckerberg non è ancora riuscito a mantenere fede alla promessa di portare la realtà virtuale ad un miliardo di persone, cui facevamo riferimento in la VR tra grandi promesse ed aspettative reali, un’analisi che, a circa due anni di distanza, sta mantenendo le proprie previsioni sul tema. Anche questa, di per sé, non è una sorpresa, se non per lo spettatore superficiale. Zuckerberg stesso chiedeva pazienza, ed ha implicitamente rinnovato la richiesta in occasione della presentazione di Horizon, dal momento che sarà disponibile in beta test soltanto nella prima metà del 2020. Un particolare che rende prematuro parlare di un lancio ufficiale, su larga scala, di questo ambizioso progetto. Da un lato emerge l’obiettivo di generare un effervescente hype mediatico, attirando l’attenzione degli investitori, facendosi trovare sul pezzo su tutti i fronti dell’innovazione in salsa social. Per contro, pur parlando di applicazioni per natura distopiche, non può venir meno il realismo di chi è ben consapevole che certi orizzonti, nomen omen, sono ancora distanti, non soltanto dal punto di vista tecnologico, quanto piuttosto da quello esperienziale.

A prescindere dalle difficoltà, Zuckerberg non mollerà l’osso tanto facilmente, soprattutto a fronte di un’opportunità strategicamente decisiva: creare un nuovo business partendo da una community, quella di Facebook, che vanta numeri miliardari, nel tentativo di proiettare l’esperienza desktop e mobile che attualmente conosciamo verso strumenti e piattaforme decisamente più immersivi, come nel caso della realtà virtuale. Ecco dunque il senso di una novità come Facebook Horizon.

Cos’è Facebook Horizon?

L’essenza di Horizon è ben sintetizzata nel trailer di lancio, proiettato per la prima volta all’evento Oculus Connect 6 di San Josè (California). Si tratta di mondo in cui gli utenti vivono una situazione di multipresenza (social) in realtà virtuale. Da quanto finora emerso, si intuisce un sandbox dai confini indefiniti, in cui ognuno può sia fruire di contenuti già disponibili, che generarne di nuovi attraverso l’apposito World Builder, che consiste in una serie di semplici ed intuitivi VR tool dedicati alla creazione di contenuti in 3D.

A prima vista, più che ispirarsi ad uno scenario distopico alla Matrix, Facebook Horizon si configura quale un enorme palinsesto di entertainment, che punta sulle dinamiche social per tenere incollati più tempo possibile gli avatar degli utenti che vi accederanno tramite i visori Oculus. Il tempo trascorso in VR è del resto anche la chiave del successo di Horizon, sia per le interazioni che possono generare che, naturalmente, per l’opportunità di monetizzare questo traffico attraverso meccanismi di adv ben noti soprattutto per quanto concerne gli attori del business. Un aspetto su cui torneremo tra poco, giusto il tempo di focalizzarci sull’aspetto centrale dell’esperienza: la personalizzazione.

Il trailer ufficiale di Facebook Horizon, presentato in occasione di Connect 6 (credit: Oculus)
User Experience: il ruolo chiave della personalizzazione

La prima cosa da fare, quando si accede ad Horizon, consiste nel creare il proprio avatar in 3D, grazie ad una serie di preset che consentono di definire e successivamente personalizzare ogni dettaglio dell’aspetto fisico e del look del nostro alter ego virtuale. Naturalmente, ogni particolare è continuamente modificabile, in modo da incentivare nuove soluzioni, oltre alla creazione di nuovi prodotti con cui interagire. In questo modo diventa possibile vestirsi, creare ed arredare la propria casa, così come configurare tutti gli aspetti dell’interazione in un volano di consumismo virtuale, esattamente come faremmo nel mondo reale. Senza i vincoli del mondo reale, dove soltanto il limite è rappresentato soprattutto dalla nostra capacità di immaginare le cose.

In Horizon tutto appare estremamente positivo e divertente, così come sorridenti e colorati sono anche i Locals, i moderatori impersonati dallo staff di Facebook per scoraggiare condotte inopportune da parte degli utenti normali, che al tempo stesso possono connotare un’area privata, in cui riservare quei contenuti cui gli altri non possono virtualmente accedere. Insomma, ci sarebbe anche il rispetto per la privacy, per dare luogo ad uno scenario sulla carta perfetto, irresistibile, in cui evadere dalla realtà consueta sembrerebbe la cosa più naturale e piacevole possibile. Almeno, così è come vorrebbero vendercelo. Ma è davvero tutto oro quello che luccica? Lo sapremo a partire dalla primavera del 2020, nel frattempo possiamo ipotizzare, a ragion veduta, quelli che sono i rischi e le opportunità che si celano dietro il business che Facebook ha in mente per Horizon.

Opportunità per brand e creatori di contenuti. La novità vale davvero l’investimento?

Grazie agli strumenti del World Builder, una volta entrati in Horizon ci troveremo catapultati in un “user generated world”, in cui gli utenti non si limiteranno ad interagire tra loro attraverso i propri avatar, né a giocare con le moltissime esperienze videoludiche che incontreranno lungo il loro cammino virtuale. Horizon è un mondo, se non un insieme di mondi, in continua espansione, stratificato ed edificato sia da Facebook che dagli utenti stessi, grazie agli strumenti di creazione cui si accede mediante l’interfaccia flottante di cui ciascun avatar dispone: tutto comodamente a portata di mano.

Il valore aggiunto di un’esperienza immersiva, come quella vissuta in realtà virtuale, risiede nel coinvolgimento multisensoriale degli utenti, che interviene in maniera diretta nella creazione di un environment in cui tutto, direttamente o meno, avrà certamente un prezzo. Se a prima vista Horizon potrebbe apparire un competitor di piattaforme di creazione ludica come Dreams (PSVR) o Roblox, la sua naturale vocazione, volendo riferirci a casi già noti, potrebbe essere quella di un nuovo Second Life. Horizon potrebbe appunto fare le veci di ciò che finora SansAR, erede “immersivo” di Second Life, sviluppato dalla stessa Linden Lab, non è riuscito a diventare, essendo tuttora vincolato ad una nicchia di irriducibili fan ed occasionali curiosi. Interessante, ma al momento non così attraente per il grande business del mercato consumer.

Nel caso in cui Horizon riuscisse nell’impresa di ereditare lo scettro di Second Life, con i numeri che la presenza online del 2020+ può garantire, le cose potrebbero farsi davvero molto interessanti, e non soltanto per il portafoglio di Mark Zuckerberg, generando una serie di opportunità sia per i creatori di contenuti 3D che per i brand che intenderanno strutturare la propria presenza virtuale, sia mediante iniziative di marketing digitale, sia attraverso la vendita di prodotti digitali ad uso e consumo degli avatar degli utenti.

In analogia con il modello del Facebook tradizionale, che vede i brand implementare le proprie pagine e diffondere i loro contenuti mediante iniziative sponsorizzate, Horizon potrebbe offrire opportunità di adv improntate su logiche molto simili. Volendo volare ancora un po’ con la fantasia, la transizione più logica da Facebook a Horizon potrebbe quantificarsi dal numero di like e condivisioni al tempo trascorso nei vari luoghi e nelle varie esperienze. Per conoscere questi dettagli, ci sarà tempo, anche perché il primo passo consisterà nel creare una base utenti sufficienti per rendere sufficientemente dinamico e credibile il nuovo mondo virtuale del social network per eccellenza.

Da cosa dipende il successo di Facebook Horizon?

Nell’articolo Realtà Virtuale: oltre le barriere della trasformazione digitale, abbiamo posto particolare risalto ai principali fattori che finora hanno limitato la diffusione della realtà virtuale, per ora ben settorializzata in alcune tipologie di applicazioni enterprise, che guarda caso coincidono con quelle esigenze pratiche cui la VR stessa offre già una soluzione diretta al problema (training & learning, edutainmnent, maintenance, ecc.).

A livello consumer, la realtà virtuale non è ancora riuscita ad imporsi sia per una evidente prematurità (termine che riteniamo più appropriato rispetto al ben più inflazionato immaturità, NdR) del comparto hardware-software, sia perché non si è ancora prospettata la cosiddetta killer app della VR. In altri termini, la realtà virtuale è oggi uno strumento decisamente utile, dal potenziale enorme, ma tutt’altro che indispensabile nella maggior parte delle sue possibili applicazioni. Lo confermerebbe il fatto che le principali situazioni che prevedono la multipresenza degli utenti online sono ancora sviluppate ricorrendo all’interattività tradizionale, piuttosto che alla controparte immersiva, si pensi ad esempio ai giochi, ai vari social network, piuttosto che a tutte le situazioni collaborative che vanno dal remote conference alla design review.

Qualcosa però sta cambiando. Se la costanza degli investimenti dei big one tecnologici costituisce un ottimo elemento di fiducia, gli exit e i fallimenti delle startup che hanno caratterizzato la “prima era” della VR potrebbero essere il segnale evidente di una transizione verso una dimensione più matura, di maggior consapevolezza e solidità, che alcuni critici tendono ad identificare nella cosiddetta VR 2.0. Sarà sufficiente per garantire il successo di Horizon?

L’effetto Ready Player One

La risposta alla domanda precedente non può essere soltanto tecnologica, andrebbe a nostro avviso ricercata nella sua componente olistica, esperienziale. Un mondo come Horizon deve essere innanzitutto qualcosa di piacevole ed esclusivo, che spinga gli utenti a trascorrere del tempo con un visore in testa, anziché vedersi imposta questa condizione, come è accaduto nel caso di molte nuove tecnologie domestiche. Il desiderio di tornare in Horizon deve prevalere rispetto alla sensazione di provarlo una volta o due prima di riporre l’Oculus nel cassetto, rendendosi conto che di esperienze simili in fondo ce ne sono già altre, senza la necessità di dover indossare per forza di cose un visore VR, scomodo, costoso e in prima istanza meno immediato da utilizzare rispetto ad altri input method. Si pensi alle user experience basate su interfacce tastiera-mouse o touchscreen con cui siamo soliti spendere gran parte della nostra giornata, sul lavoro e nel tempo libero.

Se analizzassimo Horizon nei termini delle’esperienza nuova, il veicolo esperienziale cui può far maggiormente leva è certamente rappresentato dal desiderio di evasione dalla realtà, per proiettare la propria mente verso una dimensione migliore, più piacevole, possibile soltanto attraverso l’esperienza virtuale, del tutto alternativa a quella che abitualmente ci circonda. E’ in fondo ciò che, nell’immaginario sci-fi intriso di cultura nerd, Ernest Cline ha scritto per Ready Player One, il libro che Mark Zuckerberg ha regalato a tutti gli impiegati di Facebook Reality Labs nel 2016, anticipando nettamente l’uscita nelle sale dell’omonimo film prodotto e diretto da Steven Spielberg. Horizon vuole essere per il mondo reale quello che Oasis è stato nella letteratura sci-fi: una realtà migliore, per cui la VR costituisce l’inevitabile chiave d’accesso, il prezzo che va necessariamente pagato per godere di un’esperienza unica.

Oltre a costituire una dimensione alternativa, un’altro aspetto potenzialmente decisivo per il successo di Horizon è rappresentato dall’avatar virtuale. Se nell’esperienza social consueta, gli utenti sono tendenzialmente caratterizzati dalla loro reale identità, in un contesto come Horizon le nostre fattezze e quelle degli altri utenti sono immaginarie, definibili in base ai desideri di chi impersona un personaggio in 3D. Si tratta di un fattore straordinariamente potente nel definire la necessaria sensazione di presenza in un contesto evasivo.

La tecnologia, oltre a rivelarsi utile e funzionale, piuttosto che imposta, dovrà risultare accessibile ed alla portata di quel miliardo abbondante di persone che Mark Zuckerberg vuole portare nella VR. Su questo aspetto sta lavorando intensamente Oculus, alle prese con la continua ridefinizione della propria offerta, sempre più orientata a supportare il visore di fascia media Oculus Quest, che alla lunga dovrebbe assorbire i limiti dell’entry level Oculus Go e la natura spiccatamente desktop del top di gamma Rift S, decisamente troppo “wired” per l’utente medio.

Per far si che Horizon diventi realtà, servirà sicuramente tempo. Nessuno potrà anticipare il corso di tempistiche per certi versi fisiologiche, che vorrebbero la VR quale un fenomeno in divenire almeno per i prossimi dieci anni. Del resto, quindici anni fa, quando Zuckerberg ha lanciato Facebook, quanti sarebbero stati disposti a scommettere su un simile successo? Horizon e le sue naturali evoluzioni partono decisamente avvantaggiate, per via di una base utenti enorme, già acquisita, cui far provare qualcosa di davvero differente.

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Francesco La Trofa

Architetto e giornalista, con 20 anni di esperienza nelle tecnologie 3D.
Consulente di enti pubblici e aziende 3D per aspetti legati alla progettazione e alla comunicazione.
Responsabile dei contenuti editoriali di Treddi.com e co-fondatore dei Digital Drawing Days, evento unico nel suo genere in Italia.
Collabora attivamente nella ricerca e nella didattica presso il Politecnico di Milano.
Per Protocube Reply cura 3D STORIES.