Le tecnologie digitali 3D consentono crescenti opportunità in termini di efficienza, per raggiungere obiettivi e risultati che fino a poco tempo fa sarebbe stato complesso anche soltanto immaginare. Un esempio lampante, in termini di esperienza, è dato dall’archeologia, come ci dimostrano i recenti casi studio sviluppati dal Museo Egizio di Torino. Se un tempo indagare su un reperto significava metterne a rischio la conservazione, oggi è possibile documentare ogni fase di studio in maniera non distruttiva, oltre a poter individuare dei dettagli altrimenti destinati a rimanere invisibili.
La portata dell’innovazione in questo processo non è di per sé rivoluzionaria, ci troviamo piuttosto al cospetto di una svolta epocale, grazie al superamento delle tradizionali nicchie di ricerca a favore di un nuovo approccio multidisciplinare, in cui avviene quel dialogo tra il tecnico e l’umanista più volte auspicato dal direttore Cristian Greco nel corso dei suoi interventi pubblici. Nel caso specifico, ciò si concretizza nell’archeometria, insieme delle tecniche adottate per studiare i materiali, i metodi di produzione e la storia conservativa dei reperti.
L’impegno del Museo Egizio di Torino ha catalizzato e coordinato l’attività di un network di ricerca internazionale, per dare luogo alla mostra Archeologia Invisibile, che costituisce un importante punto di svolta. Oltre a divulgare al grande pubblico i risultati della ricerca condotta sui reperti, la mostra riconosce dichiaratamente il ruolo svolto dalle tecnologie 3D in tutte le fasi affrontate. Il range delle attività è molto ampio e va dalla scoperta del reperto nel sito archeologico fino all’allestimento, episodio in cui le fruizioni fisiche e virtuali sono in grado di soddisfare le esigenze dei ricercatori e del pubblico generalista coinvolto nell’esperienza museale.
Lo sbendaggio virtuale delle mummie
Dal punto di vista archeologico, un fondamentale valore aggiunto delle tecnologie digitali è caratterizzato dalla possibilità di effettuare indagini non distruttive. Lo sbendaggio virtuale non compromette in alcun modo lo stato di conservazione delle mummie, garantendo la trasmissione dei reperti alle generazioni successive, che potranno a loro volta effettuare indagini con strumenti ancora più evoluti rispetto a quelli attuali. Si realizza così l’intuizione di Ernesto Schiaparelli (direttore Museo Egizio 1894-1928) che salvò dal tradizionale sbendaggio fisico molte delle mummie scoperte nelle sue missioni archeologiche, in modo da preservarle per le generazioni future. Fu proprio Schiaparelli a scoprire, nel 1906, la tomba di Kha e Merit, da cui provengono molti dei reperti in mostra ad Archeologia Invisibile.
Il concetto di sbendaggio virtuale è sintetizzato in maniera molto puntuale dal curatore della mostra Archeologia Invisibile, Enrico Ferraris, nel seguente contributo video.
Rendere visibile l’invisibile: il ruolo della comunicazione
La missione culturale di un museo va oltre gli aspetti della ricerca e della conservazione. Un reperto nascosto in un archivio impenetrabile è per molti versi sterile nella sua essenza, oltre a costituire un inutile costo per l’istituzione. Oggi è più che mai necessario investire nella ricerca per divulgare una conoscenza stratificata e fruibile attraverso molti canali, che vanno dalla teca tradizionale all’allestimento totalmente virtuale.
La mostra Archeologia Invisibile è in grado di comunicare con un linguaggio attuale, chiaro, comprensibile da tutti, grazie all’ampio ricorso ad grafiche ed animazioni 3D, puntualmente accompagnate da descrizioni testuali semplici e di rapida lettura.

Le tecnologie 3D: un arsenale tutt’altro che invisibile
Come accennato, alla mostra Archeologia Invisibile va riconosciuta la piena onestà intellettuale nel riconoscere il contributo all’archeologia di molte tecnologie digitali, tra cui:
- fotografia digitale – fondamentale per documentare il sito archeologico e le varie fasi di rilievo.
- stereoscopia 3D – attraverso la visione binoculare, garantisce una sensazione di profondità che rende tridimensionali le immagini ed i video ripresi o ricostruiti grazie a questa tecnologia.
- fotogrammetria 3D – consente di ricostruire un modello 3D digitale dello scavo, successivamente arricchito da una serie di informazioni contestuali.
- modellazione 3D – consente di creare una copia digitale perfetta di qualsiasi reperto.
- stampa 3D – per rendere tangibili tutti i reperti non esposti nelle versioni originali o rivelati dallo sbendaggio virtuale.
- analisi multispettrale – per ottenere tutte le quelle informazioni non rilevabili nel campo del visibile.
- TAC – in maniera analoga al campo di applicazione medicale, consente una scansione completa e non distruttiva del reperto, restituendo dati efficaci per una ricostruzione 3D.
- rendering e animazione 3D – core technology delle applicazioni multimediali che animano gli exhibit della mostra, garantendo un’esperienza di visita molto più coinvolgente rispetto alle grafiche tradizionali.
- proiezioni e videomapping 3D – strumenti di narrazione dell’allestimento museale.
Per renderci conto concretamente di questo contributo, vediamo alcuni esempi allestiti nel contesto della mostra Archeologia Invisibile.








Si ringrazia per la collaborazione: l’ufficio stampa del Museo Egizio di Torino
Per approfondimenti sulla mostra – Archeologia Invisibile – sito ufficiale
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