La divulgazione scientifica è da sempre un tema di grande fascino, specie quando si sofferma sulle grandi scoperte archeologiche. Riportare alla luce una testimonianza reale costituisce un momento cruciale nella ricerca, quale passo decisivo per confermare tesi, ipotesi e informazioni riguardanti fatti storici di grande importanza. E’ il caso del tunnel di Ponary, di recente individuato grazie al fondamentale apporto delle tecnologie 3D digital imaging.
Ponary è al tempo stesso una delle storie più drammatiche ed affascinanti del Novecento, una di quelle che nessuno avrebbe mai voluto leggere.
I fatti vanno contestualizzati nel campo di concentramento di Stutthof, sito in un’area boschiva nei pressi di Vilnius, in Lituania, dove durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti trucidarono almeno 100.000 persone, provvedendo successivamente a bruciare i loro corpi.
Gli attori protagonisti sono i prigionieri della “Burning Crusade”, gli addetti alla “rimozione” dei cadaveri destinati alle pile crematorie. Sebbene questa atroce mansione consentisse loro di evitare la stessa sorte dei loro connazionali, era pressoché scontato che per loro non ci sarebbe stata alcuna possibilità di salvezza. Un gruppo di circa 40 persone decise di scavare un tunnel per provare a fuggire dal campo di sterminio. Il passaggio sotterraneo, ricavato in condizioni di estrema clandestinità, consisteva in un varco di sezione ridotta, ricavata prevalentemente scavando a mani nude nella terra.
Dopo 75 giorni di lavoro, il 15 aprile 1944, ultimo giorno della pasqua ebraica, 80 prigionieri tentarono la fuga attraverso il tunnel, ma i nazisti, a seguito di una soffiata, li intercettarono, eliminandoli quasi tutti nelle immediate vicinanze del campo. Tuttavia, undici di loro riuscirono a fuggire e a raccontare questa storia.

Il sito di Ponary, dove ha sede il memoriale del campo di sterminio. Gli operatori hanno utilizzato tecniche di rilevamento di tomografia elettrica per non interferire in maniera distruttiva con i reperti. Le immagini ritraggono i tecnici all’opera nei pressi del punto dove in precedenza era stato localizzato l’ingresso del tunnel (credits NOVA – Associated Press)
Le testimonianze dei sopravvissuti sono state decisive per ricostruire i fatti, ma la scienza richiede fatti e prove certe, per poter confermare le proprie ipotesi. La leggenda del tunnel, per quanto suggestiva, rischiava di rimanere soltanto una delle tante storie incredibili di quegli anni.
Al di là dell’aspetto puramente testimoniale dell’esperienza archeologica, il ritrovamento del tunnel costituiva una valenza simbolica molto forte, tale da consentire la formazione di un gruppo di ricerca internazionale, diretto da Richard Freund, della Hartford University (Connecticut).

Le immagini ritraggono il team diretto da Freund all’opera nel processo di scansione 3D. Sulla destra, il profilo di tre sezioni individuate, in cui è facilmente riconoscibile la posizione del condotto (credits NOVA – Associated Press)
Il gruppo di lavoro è ricorso all’impiego di tecnologie di rilevamento non distruttive, come la propagazione in profondità di onde radio (Gpr) e la tomografia elettrica (Ert), utilizzata dai geologi nell’industria mineraria, un sistema che permette di mappare il sottosuolo misurandone la resistenza al passaggio di correnti elettriche. I dati rilevati sono stati restituiti grazie a tecnologie di 3D digital imaging, per ottenere il risultato grafico che consentisse l’esatta individuazione dei reperti.

La scansione 3D rileva la sezione del terreno, che viene restituita con tecniche di digital imaging. I differenti colori del grafico corrispondono alla natura differente del terreno (credits NOVA – Associated Press)
Oltre al tunnel, il lavoro dei tecnici e degli archeologi coordinati da Freund ha consentito di riportare alla luce anche una grande fossa comune ed altri particolari utili a supportare il lavoro degli storici. Il lavoro è stato seguito in tempo reale da NOVA, produzione della rete televisiva americana PBS, che sta lavorando nell’editing di un approfondito documentario.
Le tecnologie di 3D digital imaging costituiscono ormai una prassi in vari ambiti scientifici e diagnostici. Basti pensare che sulla restituzione delle immagini da una scansione 3D si basano tutte le più avanzate tecnologie legate alla diagnostica medica e i rilevamenti Oil & Gas.

Tra le applicazioni più diffuse del 3d digital imaging ci sono le tecnologie diagnostico in ambito medico, con una diffusione molto radicata nel settore dentale (credits Soredex)
Come nel caso di Project Mosul e dei reperti distrutti dall’ISIS ricostruiti in 3D, la grande rilevanza mediatica ottenuta dal ritrovamento del tunnel di Ponary costituisce un’occasione per divulgare i contenuti e le potenzialità delle tecnologie 3D anche presso l’immaginario della gente comune, superando la tradizionale barriera dello specialismo. Una missione, quella della divulgazione scientifica, essenziale per alimentare un sentimento di generale supporto nei confronti della ricerca, spesso bistrattata a vantaggio delle logiche speculative.
Temi come la scienza, l’arte e la tecnologia costituiscono una grande opportunità, per sia per il ruolo della memoria che per il futuro di intere generazioni, di intere culture.